Le questioni di genere toccano diversi ambiti della nostra vita, da quello sociale a quello culturale fino a quello linguistico. Negli ultimi anni, sono diventate un tema molto dibattuto, anche grazie a fenomeni quali la globalizzazione e la consumerizzazione delle tecnologie dell’informazione che ne ampliano la portata. Ciò ha comportato un mutamento nella sensibilità dei parlanti su scala mondiale e, di conseguenza, nella loro percezione dei problemi di sessismo intrinseci alla lingua.

In termini di genere, molte lingue attualmente mancano di meccanismi validi a garantirne una più appropriata neutralità e l’italiano, purtroppo, non fa eccezione. Se, dunque, da una parte la lingua influenza il modo in cui percepiamo la realtà, dall’altra tale mutamento di sensibilità ha il potere di influenzare il modo in cui parliamo. Al di là dell’impatto concreto che eventuali imposizioni normative possano avere, di fatto le proposte di cambiamenti nell’uso di una lingua e gli espedienti grafici per ovviare a taluni di questi problemi sono solo alcuni degli indizi che rivelano indubbiamente l’esistenza di un processo di trasformazione già in atto.

Come traduttore, mi ritrovo quotidianamente impegnato a cercare sinonimi, costruire perifrasi e, talvolta, ad avventurarmi nei neologismi per tentare di aggirare proattivamente simili ostacoli espressivi – segno, anche questo, che i tempi stanno inevitabilmente cambiando. Se prima, ad esempio, era accettabile salutare una utente con un generico “Benvenuto!” in un’e-mail promozionale o su un sito aziendale, oggi ciò viene giustamente percepito come una scelta discriminatoria che spinge a preferire soluzioni come “Ti diamo il benvenuto!” oppure “[Nome prodotto] ti dà il benvenuto!”. Approcci analoghi si stanno registrando anche nelle lingue con cui lavoro quotidianamente, come l’inglese. Mentre un tempo, infatti, era normale usare il pronome maschile “he” per includervi in maniera impersonale anche il femminile, negli ultimi decenni abbiamo assistito al passaggio al più indefinito “s/he” fino all’epiceno “they”, che può riferirsi a una o più persone senza identificarle con il deprecato binarismo di genere maschio/femmina. Una scelta inizialmente osteggiata, anche a causa della sua frequente agrammaticalità, ma che va radicandosi sempre più e col tempo finirà probabilmente per suonare del tutto normale.

Come siciliano, non ho mai nascosto qual è in realtà la mia madrelingua. Nonostante gli sforzi fatti dai miei genitori per esprimersi in italiano, sono stato svezzato a pane e siciliano. Il siciliano è stato lo strumento comunicativo con cui sono cresciuto tanto in casa quanto in società. Parallelamente, ho appreso l’italiano, ma se devo parlare di lingua “madre”, quella che mi ha nutrito al suo seno lessicale, non posso che identificare la mia mamma di latte nel siciliano. Nel corso della mia crescita culturale e professionale, mi sono spesso chiesto quanto fosse sessista questa lingua romanza, riflettendo sulle sue radici comuni con l’italiano e sulle tendenze dei parlanti moderni. Nella mia esperienza, non posso negare i tratti evidenti che il siciliano condivide con l’italiano in merito alle questioni di genere, sebbene alcuni aspetti mi abbiano sempre colpito per il loro carattere neutro, come i plurali misti terminanti in -i oppure alcune forme verbali immuni alla concordanza di genere.

In un recente articolo, i linguisti della Cademia Siciliana esplorano efficacemente l’argomento nell’ottica di un confronto tra l’italiano e il siciliano per mettere in evidenza come le due lingue, entrambe di derivazione latina, si approcciano al sessismo linguistico, dimostrando come il siciliano sia caratterizzato da una neutralità più spiccata che, in molti casi, non attribuisce maggiore rilevanza a un sesso rispetto all’altro. Si tratta, naturalmente, di un breve studio comparativo delle caratteristiche che differenziano i due sistemi linguistici a scopo divulgativo, senza tuttavia avere l’intento di decretare la superiorità di uno sull’altro. Per approfondire l’argomento, potete consultare questo interessante articolo al seguente indirizzo: https://cademiasiciliana.org/blog/siciliano-e-genere/.

In conclusione, ci tengo a ribadire che queste riflessioni non implicano in alcun modo che il siciliano sia migliore dell’italiano, in quanto nessuna lingua lo è mai rispetto a un’altra. Del resto, non dimentichiamo che, quando si parla di lingue, è sempre importante mantenere una certa “neutralità”!

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